Antonio Galliani: Vita dentro lo sport


DALLO STADIO FERRUCCIO DI SEREGNO ALL’iRONMAN DI BELGRADO.


Sono nato e cresciuto dentro lo Stadio Ferruccio di Seregno. Non “vicino”. Non “attorno”. Dentro.

Mio padre e mia madre erano i custodi della struttura e gestivano anche il bar. La mia stanza era nascosta sotto la tribuna centrale, e ogni mattina, aprendo la finestra, mi ritrovavo davanti un mondo che per molti è solo sport… ma per me era casa: la pista d’atletica, il campo da calcio, i campi da tennis,la palestra di pugilato le sedi delle società sportive.

Oggi capisco quanto sia stato un privilegio vivere ogni giorno immerso nella passione, nei rumori, nei profumi e nei sogni di uno stadio. Anche se allora qualcuno pensava che, vivendo lì, io “non avessi una casa”.

In quello stadio ho visto passare campioni veri, gente che ha fatto la storia.
Giacinto e Massimo Sant’Ambrogio, che ho visto diventare campione d’Italia di categoria.
Il ciclista olimpico Teresio Brusegan.
Calciatori come Enrico Annoni del Torino, Bosco della Fiorentina, Crippa del Napoli…
E poi Omar Nobili del Seregno: per me un punto di riferimento assoluto. Da ragazzino lo guardavo scendere in campo con ammirazione, e oggi continua a seguirmi nei broadcast. Sapere che uno come lui osserva il mio percorso vale forse più di qualsiasi medaglia. È una di quelle cose che ti restano dentro, perché senti che la vita a volte ti restituisce ciò che da bambino non osavi nemmeno immaginare.

Ho incontrato anche leggende come Lorenzo Zanon, campione del mondo dei pesi massimi, e figure storiche come Giuseppe Meroni, presidente di una delle società ciclistiche più importanti dell’epoca.
Respirare tutto questo ogni giorno ti forgia, ti costruisce, ti entra sotto pelle senza che tu te ne accorga.

Io sono nato tennista. Ho giocato fino ai trentacinque anni, anche a un buon livello: un privilegio, un dono.
Poi la rottura del tendine d’Achille durante un torneo. Il dolore, lo stop, la paura di non tornare più come prima.
Ma durante la riabilitazione ho scoperto qualcosa di nuovo: prima la bici, poi la corsa… e senza quasi rendermene conto, ho iniziato un percorso completamente diverso da quello che credevo fosse la mia strada.

Per 35 anni ho lavorato come responsabile in un negozio sportivo. Lo sport, in ogni forma, era sempre con me: nel mio lavoro, nei miei giorni, nel mio modo di essere.
Ma la vera svolta è arrivata con la Polisportiva Moving.
Una realtà nata per chi lo sport lo vive davvero, per chi non vuole solo partecipare, ma crescere.
Con un presidente come Peppo Sala, con Rudy Malberti – medico ortopedico stimato e appassionato – e con la possibilità di allenarmi e prepararmi in strutture di alto livello… era impossibile non credere un po’ di più in me stesso.
E soprattutto con Giovanni Brattoli, il preparatore atletico, che ha saputo trasformare ogni mio limite in un obiettivo chiaro, ogni mio dubbio in un percorso.

Grazie a questo ambiente, due anni fa mi sono avvicinato al triathlon.
E a settembre è arrivata una delle emozioni più forti della mia vita: la vittoria in staffetta all’Ironman 70.3 di Belgrado.
Abbiamo battuto la squadra serba favorita.
Eravamo in tre: Pasquale Cosentino, che ha fatto un nuoto straordinario; Alessandro Zarilli, che ha spinto fortissimo nella corsa; e io, che ho dato tutto nella bici.
Senza di loro non sarebbe stato possibile, ma io ci ho messo ogni goccia di fatica e di cuore che avevo.
Trovandomi a competere con ragazzi molto più giovani, salire sul gradino più alto del podio è stato come vedere tutti i sacrifici prendere forma.

Se c’è una lezione che lo sport mi ha insegnato, è questa: si parte sempre dal basso.
Quando inizi qualcosa che non conosci, devi avere pazienza.
Quando ti infortuni, devi accettare che rialzarsi richiede tempo.
E quel tempo io l’ho sempre usato per tornare più forte.

Ora guardo al 2026 con la stessa fame di quando ero un bambino che apriva la finestra sotto la tribuna. Cosa vorrei fare?
Un Everesting fatto come si deve.
Il Campionato Italiano di Duathlon Age Group,
Il Challenge di Sanremo in staffetta, dove dopo il secondo posto del 2024 voglio cercare di fare meglio e qualificarmi ai Mondiali 2027 in Slovacchia.
E poi l’Eroica, la lunga da 210 km: quest’anno ho chiuso in 10 ore e 15 per mille problemi meccanici; l’anno prossimo voglio scendere sotto le nove ore ed entrare nei primi cinque-dieci.

Se dovessi riassumere tutto, direi questo:
lo sport ti insegna a ricordarti sempre da dove vieni.
E io vengo da una stanza sotto una tribuna.
E passo dopo passo, sto ancora salendo.

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